The Mi-Show-N

La televisione è un indicatore d’orientamento sociale delle persone: pochi hanno scelto di non averla, molti la guardano in modo moderato e altri vivono col telecomando in mano. Questo dato, definisce già il modo di essere e stare nella società, soprattutto a livello di partecipazione, ma questo è il segreto di pulcinella perché, va da se che, più tempo si spende da spettatore meno tempo si ha per altro. Il reality a sua volta è motivo di frattura tra gli spettatori.

C’è chi lo odia e chi ne vorrebbe sempre di più.

Il reality è una metodologia televisiva che, come dice la parola stessa, dovrebbe mostrare la realtà, così com’è, nello svolgersi della vita. Che cosa spinge poi lo spettatore a seguire reality non è un mistero: la voglia di “guardare” ciò che si pensa sia la “realtà” di un singolo o di un gruppo. C’è curiosità di vedere il privato, l’intimo, il nascosto, quello che si sa che accade ma non si vede quasi mai. Reality show, ovvero, lo spettacolo della realtà, la spettacolarizzazione di una determinata situazione.

Idea geniale, che ha funzionato, ma la domanda è questa:

quali realtà possono essere spettacolarizzate e quali no?

The Mission è un “reality umanitario” dove alcuni personaggi famosi aiuteranno degli operatori della [1]Unhcr, e della [2]Intersos nella loro missione. La meta scelta per lo “show” sono i campi profughi. Si leggono moltissime reazioni negative a proposito, e viene da chiedersi se sia la solita reazione e pregiudizio nei confronti dei “reality show” da parte di chi li odia a prescindere, oppure se sia una “insurrezione” guidata da un’onesta etica di fondo. Una sorta di grido di coscienza. Non nascondo che, già di primo acchito, questa cosa stride, ma andiamo oltre alla prima impressione. Le domande aiutano a ragionare e spingono a camminare verso una vita meditata e gustata, e anche in questo caso nascono per necessità di senso:

Chi è un profugo, e cosa ha vissuto per essere tale? Cos’è un campo profughi?

Il profugo è colui, che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, scappa dal proprio Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di mettere a rischio la propria vita. Il profugo diventa rifugiato dopo aver ricevuto dalla legge dello Stato che lo ospita o dalle convenzioni internazionali questo status e la relativa protezione attraverso l’asilo politico. I rifugiati possono essere esterni o interni al proprio Paese. (Articolo 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati). Sostanzialmente la differenza tra profugo e rifugiato sta solo nell’accezione giuridica, mentre il vissuto può essere identico.

Il campo profughi quindi è un luogo in cui convogliano una moltitudine di storie e vissuti che portano con sé tutta la drammaticità dello strappo forzato dalla propria quotidianità impregnata di familiarità, per fuggire dalla violenza che disumanizza, discrimina, tortura, stupra e uccide. Sono spesso luoghi carenti di servizi basilari, iper congestionati, dove le azioni che dovrebbero essere svolte nell’intimità, avvengono alla luce del sole. Gesti semplici, come lavarsi i denti, fare il bagno, lavare le pentole, utilizzare bagni comuni all’esterno ecc. Una situazione di estrema indigenza, povertà e vissuti dolorosi. È questa la realtà che si vuole spettacolarizzare? Ma poi, per quale motivo? Quale sarebbe il valore aggiunto dal reality nella vita di persone che abitano nei campi profughi? Nella presentazione del programma si dice che: “i vip dovranno regalare qualche giorno di spensieratezza alle popolazioni locali”. C’è una parola che non funziona in questa frase che già nel suo complesso è quantomeno “leggera”. La parola è: regalare! Un regalo è fatto gratuitamente, un dono è distaccato dalle logiche di guadagno, e nessuno è così ingenuo da credere che i “vip” coinvolti nel reality lo facciano senza un compenso in euro. Teoria confermata dalla lista dei “vip” coinvolti nel reality, ovvero, personaggi che hanno già partecipato ad altri reality o che hanno poca, pochissima visibilità nel piccolo e grande schermo, quali: Michele Cucuzza, Albano Carrisi, Barbara De Rossi, Alba Parietti, Dario Vergassola, Paola Barale, Emanuele Filiberto, Vittoria Belvedere. Diciamo che non sono proprio sulla cresta dell’onda. Non si sta supponendo che queste persone non possano fare del bene, è la metodologia che fa problema.  Poi ci sono i guadagni di Rai uno, dei produttori, conduttori, dei cameramen, di agenzie pubblicitarie e da chissà chi altri ancora. Ovviamente il programma è fatto per guadagnare, ma sulla pelle di chi? Vendendo la dignità di chi? Abbiamo già un sistema di cooperazione internazionale che lascia moltissime perplessità, nell’approccio, nell’utilizzazione delle risorse e dei fondi. Abbiamo bisogno di un cambio di rotta, di un modo di operare più onesto e sensibile, più rispettoso capace di preservare e promuovere la dignità, e questo programma non aiuta nessuno, ne i rifugiati ne tantomeno la cooperazione, missioni di chiese comprese. È urgente adottare un modello d’intervento più sobrio e più vicino alla gente, che enfatizzi il bello che c’è, senza puntare sul pietismo per scopo di lucro. Le immagini di bambini sporchi col pancione e mosche sulla faccia hanno fatto il loro tempo e i loro danni. È ora di cambiare e temo che questa trasmissione remi in senso opposto. La responsabile dell’Unhcr Laura Iucci spiega la scelta di partecipare al reality con queste parola: “Collaboriamo a questo programma perché abbiamo l’opportunità di far capire al grande pubblico chi sono i rifugiati…”. Ma siamo sicuri che sia la modalità più rispettosa e più attenta verso le persone che vivono in quella determinata situazione? È questo l’unico modo per sensibilizzare il grande pubblico? Se il focus della mobilitazione di risorse attivate dalla Rai fosse veramente il bene della gente dei campi profughi, avrebbe potuto investire in modo diverso, utilizzando i propri canali per far si che la “massa” sia sensibilizzata. Sensibilizzazione e spettacolarizzazione sono due cose diverse. Serve un impegno comune, uno sforzo perché la dignità delle persone impoverite o in situazioni difficili sia rispettata e non esposta al pubblico. Come volontario, operatore umanitario, cooperante o semplicemente come uomo, chiedo alla UNHCR e all’associazione INTERSOS di rinunciare alla partecipazione di questo programma perché abbiamo bisogno di più mission sganciate da logiche di mercato e meno false “mi-show-n” spettacolarizzanti nocive per la cooperazione e per le popolazioni e comunità con cui lavoriamo.

Diego Cassinelli

In&out of the ghetto ngo

Bauleni Lusaka Zambia

 


[1] In base al mandato assegnatogli dalle Nazioni Unite, l’UNHCR ha il compito di fornire e coordinare la protezione internazionale e l’assistenza materiale ai rifugiati ed alle altre categorie di persone di propria competenza, impegnandosi nel ricercare soluzioni durevoli alla loro drammatica condizione. Per fornire protezione ed assistenza l’UNHCR è impegnato in tutto il mondo, direttamente o attraverso agenzie partner governative o non governative, in programmi che coprono entrambi i settori di attività. http://www.unhcr.it

 

[2] INTERSOS è un’organizzazione umanitaria senza fini di lucro, che opera a favore delle popolazioni in pericolo, vittime di calamità naturali e di conflitti armati. Fondata nel 1992 con il sostegno delle Confederazioni sindacali italiane, basa la sua azione sui valori della solidarietà, della giustizia, della dignità della persona, dell’uguaglianza dei diritti e delle opportunità per tutti i popoli, del rispetto delle diversità, della convivenza, dell’attenzione ai più deboli e indifesi. http://intersos.org/