L’odore di Gerico

E arrivano a Gerico. E mentre egli usciva da Gerico e (con lui) i suoi discepoli e una folla numerosa , il figlio di Timeo, Bartimeo, un cieco mendicante, sedeva lungo la via. E udendo che c’era Gesù il Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. E molti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava molto di più: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. E Gesù fermatosi disse: “Chiamatelo”. E chiamarono il cieco dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama”. Ora egli, gettato via il mantello, balzando in piedi, venne da Gesù. E rivolgendogli la parola, Gesù disse: “Che vuoi che ti faccia?”. Ora il cieco gli disse: “Rabbunì, che (io) riacquisti la vista”. E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito riacquistò la vista e lo seguiva nella via.  (Mc.10, 46-52)

 

Che cosa è successo a Gerico? Marco non lo dice, non è di suo interesse, ma qualcosa di bello è accaduto perché, nel momento della partenza di quel ragazzo di un villaggio lontano, lo seguiva un sacco di gente. Ci sono molti modi per meditare la scrittura: lo studio, i metodi classici e poi c’è anche la fantasia che ti porta dentro e ti fa vivere una storia che non avresti mai avuto modo di vivere… o almeno credo.

 

È stata davvero una bella presenza, un’esperienza significativa anche per lui, non solo per la gentaglia di Gerico. Io sono Noha, il figlio Amek, il venditore di cammelli, uno di quelli che l’ha seguito senza sapere nemmeno il motivo. Sono parte di quella folla, un’anima inquieta di Gerico. Da molti anni, infatti, abitiamo questa terra calda e arsa dal sole orientale. Gerico è città di palme e datteri, tra pietre appuntite e sabbia tra i denti. Il deserto di Giuda lo riconosciamo dal sapore. Mio nonno chiamava questa città Ariha, che significa “qualcosa che profuma”. Ciò che ha sapore ha anche un profumo. Qui si vive con ritmi di vento, chi vive sotto il livello del mare ha un passo diverso. La mia è una cittadina malfamata, un po’ pericolosa, per chi ci passa si intende. A noi che ci viviamo viene naturale divincolarci dai pericoli. Coltiviamo l’arte scaltra della sopravvivenza con fantasia grande. L’illegalità è pane che s’impasta sin da piccoli, quando si corre scalzi per i budelli scivolosi dei suk, dove si accumulano ferite di cocci taglienti abbandonati sui massi unti che lastricano i viottoli vicino al frantoio. Gerico è un crocevia dove si guadagna con l’inganno, e il viandante lo sa, ma è una tappa obbligatoria, come un dazio da pagare per raggiungere ciò che si sogna. Anche la strada che porta da Gerico a Gerusalemme è poco raccomandabile. È tutta in salita, meglio percorrerla al contrario. È comunque pericolosa, ma almeno in discesa si è più veloci, si scappa meglio. In quel pomeriggio umido di sale sulla pelle, la folla disordinata si spostava con chiasso di mercato verso le mura d’uscita per la via principale, quella piena di mendicanti e ambulanti improvvisati. Nel flusso umano gonfio di odori, tra puzza acre di sudore e profumo di frittelle di datteri e miele, mi muovo anch’io. Sul ciglio della strada, dove sassi e rifiuti si contendono la terra, proprio vicino a Josafat c’è Bartimeo. Josafat è il venditore di futuro. Lui dice di essere un veggente o un chiromante. Sinceramente non so quale sia la differenza tra le due cose, non ho studiato. Quello che so è che fa soldi per dirti cose che non accadranno mai. È così che campa. Comunque, forse per ironia della sorte oppure per una strana legge di compensazione, vicino al super vedente Josafat c’è l’immancabile Bartimeo, che invece non vede niente. Sta sempre lì, in quel punto preciso della strada. Lo conoscono tutti, è una vita che mendica sul ciglio di quella via, saldo come una mosca sul bordo di un bicchiere. È cieco dalla nascita e i suoi genitori sono morti quando ancora era in fasce, al tempo dell’epidemia di colera che decimò la città. Tutti però ricordano suo padre Timeo: era un ciabattino abilissimo e un uomo onesto. Lo vedo da sempre, ma lui non mi ha mai visto. Conosce però la mia voce, e la voce di ogni singolo abitante di questa città di ladri. Riconosce il forestiero dal passo, e lo aggancia con la capacità dialettica da uomo per niente istruito. Bartimeo è ciò che più di tutto può sintetizzare l’essenza di Gerico. Bartimeo è Gerico! Non mi sono mai posto il problema del suo handicap, se avesse mai potuto guarire, vedere o cos’altro. Era cieco, punto e basta! Era l’uomo cieco, l’originale di turno, come una sorta di matto che tutti i villaggi hanno. Se non c’è manca e bisogna per forza inventarne uno. Insomma, io non so che cosa gli sia preso quel giorno, sta di fatto che davanti a quella calca di gente scalciante, si mise a urlare. Chiamava quel ragazzo di Nazareth con voce talmente alta da esser distorta. Lo chiamava con nomi strani, ma a pensarci bene, quel ragazzo un po’ strano lo era e, forse, fra strani ci si intende. Tutti presero a sgridarlo, colpiti da un fulmineo attacco di bon ton che nulla ha a che fare con la nostra città. Lo sgridai anch’io, e come gli altri calciavo sassi di deserto nella sua direzione, alzando la mia parte di polvere per farlo tossire. Gli uomini quando sono in braco fanno cose senza un motivo preciso. Possono anche uccidere senza aver capito nulla. Uccidono per senso di solidarietà col più forte, raramente stanno col più debole. Bartimeo, però, dopo due colpi di tosse e uno sputo per terra, lanciò la gola ancora più in alto. Grido di chi non può permettersi di farsi ignorare. Vidi tre uomini dirigersi verso di lui e li seguii, con passo di tempesta. Doveva stare zitto. La nostra irruenza aggressiva doveva farsi protagonista in quell’evento. Non capita spesso di essere visti da tanta gente in processione senza un motivo preciso. Ci arrogammo il compito di metter ordine dove non c’è mai stato, e probabilmente non ci sarà mai. Il nostro ringhio gli era ormai addosso, quando quel ragazzo fece un cenno con l’indice della mano destra, un cenno inequivocabile. Un’oscillazione minima che sprigionava tutta la forza della sua disapprovazione silenziosa, accompagnata da una smorfia provocata dalla posizione aggrottata delle labbra. Sempre in silenzio, questa volta con la mano sinistra, fece cenno di portare Bartimeo verso di lui. Ero il più vicino al cieco di Gerico, quello che per primo abbaiava contro parole aspre con alito di cane. Se l’avessimo picchiato, la prima violenza sarebbe arrivata da me. Fu proprio in quel momento che mi resi conto di non averlo mai toccato, se non con i piedi, come faceva tutta le gente per prenderlo in giro e farlo arrabbiare un po’. Sarà stato per il suo odore pungente da vita di strada o per il suo aspetto scomposto poco invitante. Mi ero sempre tenuto a una certa distanza. Ora dovevo toccarlo per farlo alzare. Non l’avevo mai visto in piedi. Era alto, molto più di me. Le sue movenze erano libro in cui poter leggere stupore. Diffidenza e fiducia si contendevano le sue azioni. Le poche mani che si è sentito addosso hanno lasciato il segno sulla sua pelle color oliva. L’aggressività si trasforma con passo incerto in confidenza passando dai cancelli della paura. Toccare è un’esperienza che trasforma. Il contatto scioglie la brina appoggiata sui rami di fico dei villaggi vicino a Gerusalemme. Con tono scherzoso, per togliere l’imbarazzo da dentro dissi: “Vai Bertimè, ti sta chiamando… e guarda dove metti i piedi!” Lui si sbattè la veste per togliere la sabbia appiccicata addosso, e scuotendo la testa grigio cenere, con un sorriso tornato come emigrato dopo anni di assenza dalla sua terra, rispose a voce sicura: “Ti faccio vedere io, se non la finisci di cantar vaccate! Adesso lasciami, vado a guardarlo negli occhi!”. Quelle parole ultime parole mi si sono appoggiate dentro come fuliggine di legna arsa su giacca scura. Leggere ma capaci di lasciare una traccia. Pensavo fosse una frase ironica, ma qualcuno disse che successe davvero. Certo che quel ragazzo ne aveva fatto del casino in questa città di lazzaroni! Si è portato dietro per chilometri briganti, imbroglioni e forse assassini, che mai avrebbero disertato il loro impegno disonesto; hanno solo lasciato respirare per qualche ora i viandanti, occasionalmente liberi da truffe e inganni. Ha cambiato il ringhio di rabbia cieca della folla in qualcosa che assomigliava molto a solidarietà vedente. Mi ha fatto toccare Bartimeo, mi ci ha fatto parlare e addirittura scherzare, cosa che non avevo mai fatto in trentadue anni di vita. Ci ha messi in relazione, insomma ci ha aperto gli occhi. Ha messo un sorriso sul profilo affilato di Bartimeo e lo ha fatto alzare dal ciglio della strada, dove a volte passava anche la notte. Insomma, ci ha fatto assomigliare tanto a degli uomini. Piccole cose? No, questo è un miracolo! Per questa città è davvero un miracolo! Poi non so più cosa sia successo, sono tornato in città, in mezzo alla folla, tra sapore di deserto, puzza di sudore e profumo di datteri e miele.