10. Ora (egli) stava insegnando in una delle sinagoghe di sabato. 11. Ed ecco, una donna che aveva uno spirito di infermità da diciotto anni, ed era curva e non poteva drizzarsi affatto. 12. Ma avendola vista, Gesù (la) chiamò e le disse: “Donna, sei libera dalla tua infermità”, 13. e le impose le mani, e sull’istante si raddrizzò e glorificava Dio. 14. Ora, prendendo la parola, il capo della sinagoga, sdegnato poiché Gesù aveva curato di sabato, diceva alla folla: “Ci sono sei giorni nei quali si deve lavorare; in quelli dunque, venendo, siate curati e non in giorno di sabato!”. 15. Ma gli rispose il Signore e disse: “Ipocriti! Ciascuno di voi, il sabato, non scioglie il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, e (li) mena a bere? 16. Ora, costei, essendo figlia di Abramo, che Satana ha tenuto legata, ecco, da diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame il giorno di sabato?”. 17. E mentre egli diceva queste cose, si vergognavano tutti i suoi avversari, e tutta la folla gioiva per tutte le cose meravigliose che avvenivano per mezzo di lui. (Lc 13, 10-17)
Il Ragazzo di Nazareth sembra divertirsi a provocare i sapientoni del suo tempo. A dire il vero li provoca anche oggi, solo che i farisei, i dottori della legge e scribi contemporanei non se ne rendono conto. Si mette a guarire gente il giorno di sabato, lo Shabbàt שבת, che significa letteralmente “smettere”, ancora oggi rigidamente osservato in Israele soprattutto tra ebrei ultraortodossi. A Gerusalemme si comincia il venerdì sera, al tramonto con la preghiera dello Shabbàt al Kotel o muro occidentale, quello che noi chiamiamo muro del pianto. Gli ebrei lo cominciano insieme per poi continuare con la cena in famiglia, tra le mura domestiche con un menù particolare. Il giorno dopo a Gerusalemme le attività commerciali degli ebrei osservanti, restano chiuse, solo gli arabi, i cristiani, o comunque i non ebrei lavorano. Per le strade non circolano neppure i mezzi pubblici. La gente si riunisce in famiglia o tra amici, oppure passeggiano per le strade con abiti da festa, evitando le 39 macro categorie di azioni da compiere, vietate il giorno di sabato, che sono: arare, seminare, mietere, formare covoni, trebbiare, ventilare, selezionare, setacciare, macinare, Impastare, cuocere, tosare, lavare, cardare, tingere, filare, tendere, costruire un setaccio, tessere, dividere due fili, legare, slegare, cucire, strappare, cacciare, macellare, scuoiare, salare la carne, disegnare, lisciare, tagliare, scrivere, cancellare, costruire, demolire, spegnere un fuoco, accendere un fuoco, dare l’ultima mano per terminare un lavoro, trasportare al di fuori della propria abitazione. Nei giorni in cui mi trovavo a Gerusalemme, un rabbino ebreo moderato statunitense, mi raccontava che un sabato stava guidando la sua auto, per raggiungere un posto in cui aveva un incontro, e poiché era shabbàt, degli ebrei ultraortodossi gli presero a sassate la macchina. Il rabbino si era macchiato di una grave mancanza, da punire con pietre o altri abusi e violenze. Questo accade oggi, nel 2011, figuriamoci l’impatto che ha suscitato quel Falegname di Nazareth duemila anni fa circa, con i suoi gesti controcorrente di trasgressione dello shabbàt. Il racconto della comunità di Luca mette in evidenza una cosa importante: quello che Gesù il nazareno ha fatto, non è avvenuto in posti nascosti. La guarigione della donna legata da diciotto anni è avvenuta in una sinagoga, sotto gli occhi di tutti i gran capoccia fondamentalisti, farisei, scribi e dottori della legge. Non ha detto alla donna: “ vieni ti guarisco anche se è sabato, ma non qui, andiamo dove non ci vede nessuno… sai è proibito!” Non si è nascosto in vicoli o pertugi imboscati, non ha parlato a sottovoce per paura di farsi scoprire, no, lo ha fatto pubblicamente, perché quello che probabilmente voleva gridare è: “no, non è illegale!”. Sempre la comunità di Luca (Lc 6, 1-5), racconta che un sabato i suoi discepoli, in aperta campagna, sotto gli occhi di tutti, si sono messi a mangiare del grano che non era nemmeno di loro proprietà. Tra l’altro oggi questo si chiamerebbe rubare! Una volta no, ma di shabbàt non si poteva fare. Poi avviene anche in seguito (Lc 14, 1-6), con la guarigione di un uomo idropico, che sostanzialmente è un’accumulazione eccessiva di acqua nelle cellule e causa edemi o gonfiori in certe parti del corpo, come gambe, braccia, occhi ecc. Anche qui, avviene nella tana del lupo, ovvero, nella casa di uno dei capi dei farisei che lo aveva invitato a pranzo. Davanti al fariseo e ai commensali il Ragazzo di Nazareth, in casa sua, guarisce di sabato l’uomo gonfio e dolorante. “No, non è proibito amare di sabato, e voglio che tutti lo vedano e lo sappiano!”. Erri de Luca, nel libro “e disse” da un’interpretazione illuminante del comandamento “tu non ammazzerai”, collegandolo al racconto della comunità di Giovanni (Gv 8, 1-7), in cui una donna viene beccata in flagrante e accusata di adulterio. Gli anziani stringono tra le mani pietre pronte a far finire la vita della donna, ma chiedono al Forestiero di Nazareth un parere sulla condanna a morte prevista secondo la legge. Gesù nemmeno si degna di alzare la testa, resta curvo a terra e scrive qualcosa con il dito. Nella lista delle cose da non fare di sabato c’era anche la scrittura, consentita però se su polvere o sabbia, quindi Gesù fa qualcosa di consentito il giorno di sabato. Quel giorno però non poteva essere shabbàt, perché non si emettono sentenze quel giorno, il tribunale rispetta quello “smettere” delle attività. Il gesto coraggioso di quello Straniero chinato a terra, dice appunto questo: quando si tratta di condanne a morte, ogni giorno si trasforma in shabbàt. “Non ammazzerai”: forse furono proprio queste le parole scritte sulla polvere. Allo stesso modo Gesù di Nazareth, nel caso di questa donna curva, dice l’opposto, come volesse riordinare le cose. Il fariseo presente nella sinagoga, rimprovera la gente e non il guaritore ribelle, dicendo: “ ci sono sei giorni in cui potete farvi risolvere i vostri problemi, di sabato no, andate a casa! Precettistico l’uomo! Gesù qui sembra dire: “ei, guarda che quando si tratta del bene di un essere umano, di una donna o di un uomo, non è mai shabbàt, non è mai tempo di “smettere”. “No, no, aspetta! così si crea confusione!”, pensa il fariseo dotto. Invece è proprio il contrario. Si tratta solo di un’azione fatta per riordinare le cose e dare a ogni cosa il proprio posto. L’essere umano va tenuto al centro e le regole devono gravitargli attorno, per tutelarlo, proteggerlo e promuoverlo. Solo dopo sarà Shabbàt.