Vivendo a piedi scalzi

L’interno della capanna era illuminato da qualche raggio di sole che filtrava  dal tetto di paglia e dall’ondeggiare della tenda sulla porta d’ingresso. Era una giornata calda, ma le pareti di fango rosso e lo spessore del tetto di arbusti regalavano a quella piccola dimora un piacevole fresco. C’era un tavolo di legno accanto al muro, qualche sgabello, due sedie e delle fotografie colorate appese alla parete. Era domenica pomeriggio e Lucy, nonostante la povertà, si muoveva con molta eleganza, vestita con una tunica lunga e una stoffa sul giallo attorcigliata sulla testa. Camminava a piedi nudi sul pavimento di terra indurita talmente pulito da sembrare levigato. Sul tavolo c’erano alcune arachidi, dei frutti e delle bibite che era orgogliosa di offrirci perché in Africa l’ospite è sacro e la sua presenza merita dei sacrifici. Vicino ai suoi piedi, attaccato al vestito aveva un bambino e in braccio una bimba; sono i suoi gemellino, mentre nel cortile vicino al fuoco della cucina tra le pentole di terracotta c’erano altri tre bimbi più grandicelli che correvano e schiamazzavano pronunciando parole incomprensibili. Si sedette accanto al muro su uno sgabello accarezzando la sua piccola creatura che stava sulle sue ginocchia. Quella poca luce creava un’atmosfera surreale e la tenerezza con cui coccolava la bimba mi portava alla mente un quadro di una madonna africana che avevo visto in una chiesa di Kampala. Proprio immersi in quel clima, Lucy cominciò a raccontare la sua infanzia con quell’inglese musicale tipicamente africano. Ci raccontò di un giorno ventoso e soleggiato di molti anni fa , quando lei era ancora una bambina e correva schiamazzando proprio come i suoi tre figli in cortile, quando improvvisamente tutto cambiò. Urli e spari accompagnavano l’arrivo dei ribelli ad Iriri, il villaggio in cui lei viveva con la sua famiglia. Li uomini portarono subito donne e bambini nella capanna più grande del villaggio che faceva anche da chiesa, ma le donne erano tante, troppe per un posto così piccolo. Più di settanta persone erano ammassate in pochi metri quadrati in silenzio senz’aria e col terrore nel cuore. Tra tutte quelle persone c’erano anche Lucy, sua mamma e la sua sorellina Margaret, mentre l’altra sorella ,Angelina,era fortunatamente a scuola. Gli uomini tentarono di fronteggiare i ribelli ma furono uccisi quasi tutti, così riuscirono a raggiungere la capanna dove donne e bambini erano nascosti. Cominciarono a sparare contro le pareti di fango della costruzione e successivamente tentarono di entrare ma non vi riuscirono in quanto era troppo piena. Spalancarono le porte uccidendo tutti a fucilate e a colpi di machete. Lucy racconta che quei pochi metri quadrati diventarono un inferno, urli, pianti, morti , feriti e sangue dappertutto. I ribelli si allontanarono al calare della sera dopo aver saccheggiato  e distrutto il più possibile. Lucy era miracolosamente sopravvissuta  quasi incolume e cominciò la sua disperata ricerca tra i cadaveri dilaniati nella speranza di trovare la mamma e la sorellina vivi. Dopo pochi minuti trovo il cadavere della mamma vicino alla finestra. Disperata cercò ancora quando sentì piangere la sorellina. Era nascosta sotto alcuni cadaveri ma la piccola era gravemente ferita infatti un proiettile le aveva spezzato l’osso della gamba e non poteva muoversi. Lucy si caricò la sorellina sulle spalle e si incamminò verso l’ospedale che distava 12 km. Camminò tutta la notte,senza mai fermasi sino a che alle prime luci dell’alba si presentò esausta all’ingresso dell’ospedale . Venne soccorsa delle missionarie e la piccola Margaret  venne operata d’urgenza e si salvò anche se tuttora ne porta le  conseguenze. Da questa tragedia Lucy ha saputo venirne fuori, affrontando ogni giorno le tribolazioni di un paese senza pace. Alla fine del suo racconto, con gli occhi lucidi e un sorriso bianchissimo Lucy disse con voce tremane che tutto era passato, poi intono un canto a bassa voce , e quando ebbe finito di cantare disse accarezzando i suoi gemellini: questa è la mia vita e ogni giorno ringrazio Dio per avermela data.