Una ragazza come tante

Avevo incontrato per la prima volta Fostina sotto un portico di lamiera, vicino ad una delle 84 chiese cristiane di diverse denominazioni presenti nella township. Quella era la chiesa Battista. Quel giorno infatti la pioggia mi aveva sorpreso per strada, mentre camminavo per le vie di Bauleni, cosi’ corsi sotto il primo tetto disponibile. Non ero certo l’unico che tentava di ripararsi dalla pioggia e subito mi trovai pressato tra una quindicina di bambini che “giocavano a ripararsi” piu’ che ripararsi veramente. Con loro c’era Fostina, una ragazza di ventidue anni, semplice, come tante altre e di poche parole. Solamente dopo mi sarei reso conto di chi fosse veramente Fostina. La incotrai per la seconda volta dopo sei mesi, quando ormai la stagione delle piogge era solo un ricordo. Io non l’avevo nemmeno riconosciuta, dopo tutto quel tempo! Stava appoggiata ad una delle due colonne in perfetto  stile colniale all’ingresso del “Police Post”, una sorta di distaccamento della stazione di polizia. La struttura e’ piccola di color blu cielo e di un bianco troppo bianco per restare tale nella township. Quella ragazza mi chiama per nome da lontano, cosi mi avvicino per salutarla ma mi resi subito conto che non avevo la piu’ pallida idea di chi fosse. Con qualche domanda investigativa tentai di prendere tempo e di cercare il suo volto tra i volti dei tanti incontri fatti nella township. La ragazza continuava a parlare con una certa confidenza mentre tentavo di prender tempo inutilmente, ma forse il mio sguardo mi ha tradito e, forse per rispetto o per tenerezza, improvvisamente mi disse: “ti ricordi di me vero? Sono Fostina. Ci siamo visti quel giorno di pioggia vicino alla chiesa Battista”. Smascheratissimo, con il sorriso di chi non puo’ far altro che sorridere, feci cenno con la testa d’aver risolto il mio problema di memoria. Fostina era un ufficiale di polizia; non l’avrei mai pensato. Essere poliziotti in un posto come Bauleni non e’ proprio il piu’ sicuro dei lavori. Basti pensare che alla sera c’e’ una sorta di coprifuoco che in lingua locale chiamano  SHISHITA (sciscita), dalle 22:00 sino alle 5:00 del mattino, chi viene sorpreso in giro in quelle ore viene portato immediatamente al Police Post per accertamenti, e li, in una cella, ci spende pure la notte. Questo rende l’idea del livello di rigidita’ della legge per mantenere una sorta di sicurezza nella township. Subito Fostina mi racconto’ un aneddoto accaduto qualche sera prima del nostro incontro. Quella notte da un negozio arriva una chiamata, che avvertiva che dei ladri stavano cercando di entrare. Subito gli ufficiali in servizio si sono diretti sul posto, tra cui anche Fostina. Uno dei ladri ha comiciato a sparare contro i poliziotti mentre gli altri tre sono scappati. Dopo uno scambio di colpi, il ladro e’ restato a terra ferito. Mi raccontava la cosa come se fosse normale, e per lei probabilmente lo e’, ma non certo per me. Davanti a una frase come: “si ma non l’abbiamo ammazzato” detto da una ragazzina di 22 anni, si ha la sensazione che qualcosa in questa musica stoni. Cosi’ come strideva il “no” deciso che mi scandi’ quando le chiesi di poter visitare i ragazzi chiusi nelle celle del “Police Post”. Un’ autorevolezza non comune ad una ragazza della sua eta’ che strideva con l’apparenza, con la sua figura da ragazza come tante. Ma le sorprese non erano finite. Un giorno mi invito’ a casa sua, era il giorno piu’ sbagliato per una visita ma quello giusto per capire molte cose. Una volta entrato in casa mi trovai davanti quattro ragazzine dagli otto ai 14 anni impregnate a farsi le treccine, ovvero le sorelle di Fostina, e Joshua, un bambino di circa due anni aggrappato ai miei pantaloni, che non era il fratellino bensi’ il figlio di Fostina. Mi racconto’ brevemente la sua storia con il padre del bambino ma, taglio’ corto dicendo che, quel dolore che le si leggeva negli occhi scuri come la stanza in cui eravamo, era stato ormai sepolto e lasciato alle spalle. Fostina voleva dimenticare cio’ che non potra’ mai dimenticare. Dopo qualche minuto entro’ in quella stanza un ragazzo sui sedici anni, magro, con un fare da rapper americano e una cuffia di lana nera che portava a filo degli occhi, tanto che per guardarmi in faccia era costretto ad inclinare la testa indietro per allargare l’orizzonte ristretto dalla sua moda. Con un sorriso scomposto mi guarda e mi dice un po’ strafottenete: “hi big man” ovvero, ciao grande uomo, poi si siede e comincia a mangiare avidamente. Fostina, con gli occhi rivolti verso il ragazzo disse sospirando: “…e questi sono problemi seri”. Il ragazzo si chiama John ed e’ il fratello di Fostina. Ha smesso di andare a scuola quando aveva 13 anni e adesso beve e fa uso di droghe, una sorta di eroina che gli sta mangiando il cervello. Fostina guardo’ l’orologio e mi disse che in breve avremmo dovuto cambiare stanza perche’ dove eravamo ci sarebbe stato il consiglio di famiglia. Io non avevo capito di cosa si trattasse cosi’ mi disse: “ non so se posso dirtelo…ma si dai perche’ tanto il danno e’ fatto! Si tratta di mia sorella, quella laggiu’”, e mi fa cenno con la testa e poi prosegue: “e’ in cinta e adesso la famiglia del ragazzo deve venire qua per trovare una soluzione a cio’ che e’ accaduto”. Io guardai la ragazzina, aveva piu’ o meno quattordici o quindici anni. Prima che riuscissi a dire qualcosa sentimmo delle urla venire dalla strada, cosi’ uscimmo per capire cosa stesse succedendo. Era John, il fratello di Fostina che stava litigando con una donna per una cosa che nemmeno ho capito. Il ragazzetto era furente, ma la madre lo strattono’ verso l’ingresso di casa, poprio dov’ero io. La madre tentava di far calmare John con voce ferma e tenera allo stesso tempo, mentre il ragazzo sbraitava. Quello che mi colpiva maggiormante era lo sguardo fisso di Fostina, che seguiva il tutto con in braccio il suo bambino e un’attenzione che la rendeva  padrona della situazione pur non parlando e non agendo. Lo sguardo era fisso sul fratello ma sembrava accarezzare la mandre e sentire io suo stesso dolore. Sentiva dolore per quella donna dagli occhi rassegnati. A quel punto Fostina mi disse che avevo visto abbastanza, e come per proteggere me e la sua famiglia mi accompagno’ verso il mercato. Ritrovai Fostina qualche giorno dopo proprio al Police Post e mi disse: “vieni, ti faccio parlare con i ragazzi in cella”.  Mi porto’ davanti alle due celle, una per gli uomini, stracolma, e una per le donne, semivuota. Dalla cella delle donne senti’ gridare il mio nome, era Beatrice, una donna che conoscevo, di 35 anni circa, con problemi di alcol e prostituzione, che bazzica i bar vicino alla stazione. Beatrice scherzava mentre appoggiava la faccia tra due sbarre per vedermi meglio. Le chiesi perche’ fosse finita in cella e mi rispose tranquillamente che aveva accoltellato un uomo la notte precedente. Non feci tempo a ragionare su quanto aveva fatto che subito vidi nell’altra cella John, il fratello di Fostina. Lei mi guardo’ per un attimo, e dopo qualche secondo di silenzio mi disse: “l’ho portato qui io, l’ho arrestato io domenica, proprio dopo averti lasciato al mercato”. In quel momento il motivo che spinse Fostina ad accompagnarmi frettolosamente lontano da casa sua quella domenica. Fostina mi disse con un misto tra rabbia e amore:” deve imparare a rispettare la mamma e tutti gli essere umani…compreso se stesso”. Il ragazzo sembrava aver riindossato la sua eta’, aveva uno sguardo impaurito, la in quella piccola cella sovraffollata. Mi guardava e sembrava chiedermi con gli occhi di intervenire, di dire alla sorella quello che lui non aveva il coraggio di dire: “perdono”, ma era una perdono leggero, infatti, passate due settimane John, appena fuori dalla cella, ha aggredito un ragazzo vicino alla stazione prpcurandogli gravi lesion al volto. Dopo quel fatto John e’ scappato di casa, e ancora oggi nessuno sa dove si trovi. La polizia lo sta cercando, e una volta trovato non restera’ in cella solo settimane. Mi rendo conto che ad ogni incontro c’e’ un mistero  da contemplare, qualcosa di inimmaginabile, a volte molto oltre il possible. Storie da entrarci in punta di piedi, terrenni da calpestare scalzi, senza calzari, perche’ terra sacra. Questo e’ quello che sta vivendo una ragazza di ventidue anni incontrata in un giorno di pioggia…una ragazza semplice, come tante altre.